sabato 30 maggio 2009

Messaggio subliminale





(tanti auguri a me, tanti auguri a me, tanti auguri feliciii... tanti auguuuri a meee)

venerdì 22 maggio 2009

Punto. A capo.

Volevo scrivere qualcosa di molto intelligente (come se mi fosse possibile), di emotivamente coinvolgente, di strappalacrime, di significativo... invece la farò breve.

Avete presente una storia che, tra alti e bassi (molti alti, molti bassi) (tipo montagne russe, insomma) (di quelle anche col giro della morte) (mai sopportati i luna park, io), va avanti da 7 anni?
7 anni, avete presente? 2.555 giorni + 2 degli anni bisestili?
Avete presente quanti sono? (il mio matrimonio, tanto per dire, è durato la metà)

Ecco, avete presente.
Avete presente quando finisce, no?
Come ci si sente?

E avete presente quanto suonino stupide, vuote ed anche sfottenti le frasi tipo: "Fa più male a me che a te", "Non ti voglio più vedere, anche se ti amo troppo", "Vorrei fosse andata diversamente" eccetera?
Avete presente quanto riteniate assurde queste frasi e dei luridi pezzi di merda, falsi e bugiardi le persone che le pronunciano?

Ecco, lasciateci almeno il beneficio del dubbio: a volte, quando lo diciamo, lo pensiamo veramente.

martedì 12 maggio 2009

Profumo di fiori di tiglio / fa caldo ma qui si sta meglio

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

Ho pensato ai tigli che circondano la Pensione Manolita, a Rimini, dove passavo le vacanze estive con mia nonna. A quell’odore di nostalgia e di promesse non mantenute, a quella stamberga a conduzione familiare che mi sembrava una reggia, perché mia nonna non doveva preparare i pasti ma, per pochi giorni all’anno, dopo una vita trascorsa a servire gli altri (prima come domestica, da quando aveva dieci anni, prima della guerra; poi come moglie, per un marito che la amava, e come nuora, per una suocera che non la sopportava; poi come commessa in una pizzeria del centro; quindi come madre e infine come nonna), poteva sedersi a tavola e mangiare quello che un’altra persona aveva preparato (e poco importa se, invece, tutte le mattine rifaceva i letti e puliva la camera, perché sì, anche alla Pensione Manolita c’erano le cameriere, ma cazzo, godersi le ferie per intero proprio no!).

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

Ho pensato ai tigli di Rimini e a quelle vacanze con Davide e Andrea, due fratelli di Treviso, grandi promesse del calcio che ora, probabilmente, faranno i carrellisti in qualche azienda del nord-est; e io ero il più piccolo, e quando uscivo con loro mi sentivo figo perché erano più grandi di me; e noi tre, dicevo, passavamo tutto il tempo al bar della spiaggia, a spendere il 50% dei nostri soldi nel juke-box e le uniche canzoni che ascoltavamo erano Mia bocca, I love to love ed Electrica Salsa, ma soprattutto Nostalgia canaglia, che era orribile ma urlare a squarciagola CANAGLIA! a tempo di musica ci faceva sentire bene.
E ho pensato che l’altro 50% dei nostri soldi li spendevamo di sera in sala giochi e a volte si sperava che piovesse anche durante il giorno, così da poterci passare anche la mattina o il pomeriggio. E il tempo lo si passava a guardare quelli grandi che erano bravi a giocare ai giochi che ti piacevano e arrivavano sempre fino alla fine e con un gettone ci stavano anche delle mezz’ore buone. E qualcuno di questi grandi, ogni tanto, quando finiva la partita, prima di inserire il nuovo gettone, ti guardava, tu che eri più piccolo, con il tuo mucchiettino di gettoni nascosti nella mano, che agognavi di poter giocare a quel bellissimo platform che nella tua città non c’era, perché a Modena le sala giochi non c’erano e l’unica che c’era era frequentata da brutta gente, così ti dicevano i genitori e tu non ci credevi e ci andavi di nascosto, finché un tossico ha tirato fuori un coltello e ve l’ha puntato alla gola, a te e ad un tuo amico, e tu gli hai dato tutto quello che avevi, ben cinquemila lire, e invece il tuo amico gli ha dovuto dare anche la catenina d’oro e allora siete arrivati a casa e avete dovuto confessare di essere stati alla sala giochi, e sì, avevate ragione, mamma e papà, è un postaccio e non ci torno più. Insomma, al mare, invece, dove la sala giochi era un luogo anche per i ragazzini, ogni tanto c’era questo grande che ti guardava e ti chiedeva: “Vuoi giocare?”, e tu, con i tuoi gettoni in mano, sentivi la tua voce rispondere: “No no, stavo solo guardando…”. Perché, cazzo, quelli grandi si rispettavano.
E quando invece eri in sala giochi di mattina perché pioveva, e i grandi non c’erano perché erano ancora a letto, e il gioco era libero, e scambiavi tremila lire e ti piovevano in mano una dozzina di gettoni, almeno un paio d’ore di gioco, ecco, solo in quel momento ti mettevi a giocare. E, dopo cinque minuti, immancabilmente, entrava in sala gioco un grande, si appoggiava con una mano al cabinato dove stavi giocando tu, e tu continuavi a giocare, magari addirittura per un minuto intero, e poi capivi di aver tirato troppo la corda… e allora perdevi la partita, volontariamente. E i tuoi 11 gettoni erano lì, in pila, pronti per essere inseriti. Ma il grande ti chiedeva: “Giochi ancora?” e tu avresti voluto rispondere sì, cazzo, sì che gioco, ho ancora 11 gettoni e adesso tu aspetti come aspetto io quando ci sei tu a giocare, invece sentivi la tua voce rispondere: “No no, non ne ho più voglia…”. Perché, cazzo, quelli grandi si rispettavano.
E se anche avevi tutte le intenzioni di giocare un’altra partita, almeno una, cazzo! ho aspettato tanto, una la gioco, cascasse il mondo ma un’altra partita me la faccio, ecco, anche se avevi quest’intenzione, arrivava quello grande che diceva: “Adesso gioco io.” E la sua affermazione la capivi al volo. Adesso. Gioco. Io. Punto. Sì, si sentiva benissimo anche il punto in fondo alla frase, perché quella non era una richiesta, ma non era nemmeno un ordine: era una constatazione. Ma poi, cavolo, non ci sarebbe nemmeno stato bisogno del punto, in fondo alla frase, perché non ti saresti mai permesso di dire “no, ne faccio ancora un’altra”, perché, cazzo, quelli grandi si rispettavano.

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

cavolo, questo discorso della sala giochi mi ha fatto venire in mente che quell’anno ero biondo! Biondo?!? Beh, una via di mezzo tra l’arancione e il biondo, in realtà. Regalo della varicella che avevo avuto il mese prima, in una forma molto violenta, e poiché le papule mi erano venute anche in testa, a centinaia, e poiché le papule divennero vescicole, e le vescicole pustole, e le pustole infine si trasformarono in croste, e avevo un prurito infernale e non potevo grattarmi, il medico consigliò a mia nonna (sì, perché le malattie infettive le passavo a casa di mia nonna, perché mia madre non ne aveva mai avuta una, di malattie infettive) di farmi gli impacchi con acqua e amuchina, per ammorbidire le croste ed alleviare il prurito. E poiché mia nonna mi vuole bene, passava tutto il giorno e tutta la notte a farmi gli impacchi con acqua e amuchina e già che c’era ci aveva messo anche un po’ di acqua ossigenata e insomma, il risultato è che, dopo due settimane di impacchi, avevo una chioma degna di Jurgen Klinsmann ai tempi d’oro, la pantegana bionda di antica memoria.
Ah già, qual è il nesso con la sala giochi? ricordo che stavo guardando giocare un grande e, ad un certo punto, questo mi guardò e mi disse qualcosa. In tedesco. Io feci finta di niente, ma questo di nuovo, ricominciò a parlarmi in tedesco. Non capivo un cazzo di quello che diceva. Sorrisi ed annuii. Lui mi guardò, perplesso. Mi chiese qualcosa. Io sorrisi ancora. Poi mi domandò: “Deutsch?”. Sorrisi. Ritentò: “Tetesco?”. Allora capii. Arrossii e risposi: “No, italiano.” E lui: “Italiano piondo? mah…” A quel punto, mi prese per una spalla, mi attirò vicino a sé, io chiusi gli occhi, in attesa del suo pugno, invece mi mise davanti al videogame, mi lasciò la sua partita e se ne andò.

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

… a te, Brigitte. A quanto eri bella. Ai tuoi occhi azzurri, ai tuoi capelli biondi, con quel taglio così francese, su quel volto così francese, con quel naso così francese e quelle labbra carnose così francesi, e quanto cavolo eri francese, che non capivo una mazza di quello che dicevi, ma ero contento, perché tu eri più grande di me, avevi quasi 16 anni, questo l’avevo capito, ma passavamo le giornate in spiaggia insieme e anche la sera uscivamo insieme, perché tu non conoscevi nessuno e non parlavi l’italiano e allora uscivi con noi, e mi scompigliavi i capelli biondi e sorridevi e io ero innamoratissimo. E pensai che, così come la lingua ci separava, la musica ci avrebbe uniti: io ti insegnai Una canzone per te, tu mi insegnasti Alouette ed io pensai che era la più bella canzone d’amore che avessi mai sentito. E invece era una cazzo di stupidissima canzone per bambini. Ma tu eri bellissima e io ero innamoratissimo e stavamo sempre insieme, e io ero certo che avrei imparato il francese, e poi ci saremmo ritrovati l’estate dopo, e tu ti saresti innamorata di me, e lunedì sera andasti a letto con Andrea. Cazzo. In un solo istante, avevi distrutto il mio amore per te e la mia amicizia con Andrea. Ma, per fortuna, il giorno seguente Andrea e Davide tornarono a Treviso perché avevano un provino nella Primavera di una qualche squadra di Serie A. (Davide lo presero, Andrea no. Ahahah. Così impari.)

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

… ancora a te, Brigitte. A quanto eri bella. E che, quando Andrea ripartì, tutto fu di nuovo come prima. E arrivò mercoledì, e tu mi passavi una mano tra i capelli biondi e io ero sempre più innamorato di te. E arrivò giovedì, e tu mi passavi una mano tra i capelli e io ero sempre più innamorato di te. E arrivò venerdì, e arrivò anche Remo, con la sua bella moto rossa, e quando arrivò sabato trombaste sulla spiaggia.

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

… a te, Brigitte. E a quanto eri zoccola.

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

… ma perché cazzo non uso l’automobile, quando piove?

venerdì 8 maggio 2009

27

Post serio.

Sono nato e cresciuto nella terra dei motori per antonomasia.
Alcuni dei ricordi più vivi di quando ero bambino sono le gare di Formula 1 cui assistevo, in montagna, con mio nonno.
In religioso silenzio, perché la gara era un rito, quando scattava il semaforo verde iniziava una funzione simil-religiosa cui bisognava assistere trattenendo il fiato. Certo, mio nonno iniziava a bestemmiare come un satanista quando un'automobile rossa si fermava ai margini della pista con il motore in fumo, o quando uno dei suoi piloti terminava anzitempo la corsa contro le barriere. Ma, fin da allora, avevo capito che quella macchina rossa, per noi modenesi, non rappresentava solo un evento sportivo.
Era un simbolo.
Dimostrava come eravamo riusciti a creare dal nulla, in una terra devastata dalla guerra, in una terra di contadini ed allevatori, un "qualcosa" di inimitabile che tutto il mondo ci invidiava.
Grazie a quell'Enzo Ferrari che così bene rappresentava quello che sono i modenesi: gente riservata ma allo stesso tempo molto aperta, entusiasta, genuina, che non si piega a compromessi, orgogliosa, testarda e a volte pure presuntuosa (se vogliamo chiamare presunzione la sicurezza nei propri mezzi, la fiducia nelle proprie capacità).
Ecco, guardando in religioso silenzio quelle automobili che sfrecciavano rumorosamente sulle piste di tutto il mondo, a volte vincendo ma molto più spesso perdendo, intuivo quel senso di appartenenza e di fratellanza che la Ferrari suscitava nelle persone che mi vivevano intorno.

Un giorno, ricordo, mio nonno mi portò a Maranello, dove costruiscono le Ferrari. Parcheggiò l'auto ai bordi della strada, fece pochi passi e mi prese sulle spalle. Intorno a me c'era un sacco di gente, poi sentii un suono furioso che andava aumentando velocemente. "Eccolo, eccolo!" gridò uno di fianco a me. Mio nonno mi fece segno con l'indice, seguii la direzione del suo dito e vidi sfrecciare davanti a me una di quelle vetture che avevo visto solo in televisione. Rossa, con il numero 27.
E poi passò, ripassò, passò ancora, e tutte le volte che passava davanti a noi, tutti urlavano, saltavano, agitavano le mani.
Finché quella macchina passò, per un'ultima volta, a velocità ridotta, e quel ragazzo con il casco ricambiava il saluto, agitando la mano.

Da quel giorno, seguii le corse con più attenzione. Non capivo nulla di automobili, ma capivo che quel ragazzo, che era in grado di creare tutto quell'amore nelle persone che esultavano ad ogni suo passaggio, che soffrivano con lui, perdevano con lui, vincevano con lui, doveva essere un ragazzo speciale. E la gente lo amava, come non aveva mai amato nessuno prima e come non amò mai nessuno dopo.
Lo vidi compiere imprese che, ancora oggi, sono ritenute straordinarie. Lo vidi correre con un alettone davanti alla faccia e poi correre senza alettone. Lo vidi correre con una gomma a terra, poi senza gomma, infine senza cerchione. Lo vidi correre con una scia di vetture che lo volevano superare, ma non ce la fecero, e quella volta lo vidi vincere, e lui era felicissimo, e mio nonno era felicissimo, ed io ero felicissimo. Lo vidi sbattere, molte volte, troppe volte, e lo vidi uscire sempre illeso dall'abitacolo. Lo vidi decollare, proprio come un angelo, atterrare tra la folla e seminare morte, ma non poteva essere colpa sua, ne ero sicuro, perché tutti continuavano ad amarlo.

E poi, un sabato, stavo guardando la televisione, non ricordo cosa, quando apparve un messaggio in sovrimpressione, che diceva che avevi avuto un incidente, ed eri stato portato via in elicottero, ed eri in coma. E, poco dopo, eri morto.
Era un sabato di maggio, sei decollato, proprio come un angelo, ma quel giorno la morte ti ha reclamato.
Quel giorno ho pianto.
Ero solo un bambino, ma ti ho amato tanto, Gilles.



27 anni fa, nella clinica universitaria di Lovanio, dopo un terribile incidente durante le prove del Gran Premio di Zolder, si spegneva Gilles Villeneuve, il più veloce, il più amato pilota di tutti i tempi.

Il mio passato è pieno di dolore e di tristi ricordi: mio padre, mia madre, mio fratello e mio figlio. Ora quando mi guardo indietro vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve. Io gli volevo bene. (Enzo Ferrari)

mercoledì 6 maggio 2009

Volevo scrivere un post...

… lo giuro, avevo una sincera intenzione di scrivere un post, ritagliarmi un po’ di tempo in mezzo al casino in ufficio da dedicare a me stesso (tra un’occhiata e Facebook e una cazzata su qualche forum).
Avevo anche pronto l’argomento. Che di argomenti me ne vengono in mente a bizzeffe, con idee brillanti e collegamenti fluidi tra una frase e l’altra, e sì, insomma, sarebbero proprio dei bei post… ma di solito mi vengono in mente quando sono in moto, e quando arrivo a casa, in ufficio, in un qualsiasi posto dove buttare giù qualche brandello del post interessante, mi sono già scordato tutto.
Invece no, oggi avevo proprio l’intenzione di scriverlo, sto benedetto post. Subito dopo pranzo, appena rientro in ufficio, mi sono detto.
Ma mentre stavo andando a pranzo ho incontrato un amico, davanti ad un’enoteca, che non vedevo da parecchio tempo. Andare a trovare le persone in carcere non mi piace, quindi era da un po’ che non lo vedevo (anche se in gattabuia ci è rimasto solo una ventina di giorni, il resto sono stati domiciliari) (ma non è del bandito che voglio parlare, no, di lui racconterò un’altra volta).
Dicevo, l’ho incontrato davanti ad un’enoteca e… insomma, per farla breve, ho questa mezza sbronza addosso da cinque ore, e non mi riesce di scrivere nulla di sensato.
Meno male che si avvicina l’ora dell’aperitivo.

sabato 2 maggio 2009

Diagnosi sul web

Qualche tempo fa, mi hanno consigliato un bellissimo sito web di cui non farò il nome, ma del quale fornirò il link: www.sanihelp.it.
Ora, questo sito ha un grandissimo motivo di interesse e no, non mi riferisco all’unica categoria evidenziata in rosso (kamasutra) (che comunque ho scaricato in comodi pdf).
L’utilità di questo sito è la funzione Cerca malattie, Dai Sintomi -> Alla Malattia.

Geniale.

Ora, partendo dal presupposto che non è mai lupus, rimangono tutta una serie di malattie che i medici 1) non conoscono, oppure 2) non ti vogliono dire per sadismo, o infine 3) non ti vogliono dire per pietà (e questa è forse la possibilità peggiore).
Bene, questo sito è la soluzione di tutti i problemi.
Immaginatevi dal medico:

Paziente: Dottore, soffro di vertigini da parecchi giorni
Dottore: Non si preoccupi, è cervicale.
P: Ne è sicuro?
D: (sorridendo) Non avrà mica pensato - che so - ad un tumore al cervello, vero?
P: Mmm no, pensavo più a… che so… Vertigine Parossistica Posizionale.
D: (visibilmente sorpreso) Cos… Vertig…
P: (sogghignate)
D: Ok, mi ha fregato. Ebbene sì: Vertigine Parossistica Posizionale.

Comunque, dicevo: mi hanno consigliato questo bellissimo sito web, grazie al quale, inserendo i sintomi che vi sentite, potrete sapere quale malattia vi affligge.
Ora, poiché, per uno strano caso del destino, i farmaci per disinfiammare la cervicale hanno guarito (temporaneamente nascosto) la vertigine parossistica posizionale (tumore al cervello), mi trovavo in (quasi) perfetta salute e non avevo quindi modo di testare la funzionalità del sito.
Poi mi sono reso conto che, forse, quello che ho sempre considerato uno stato momentaneo NON è una cosa passeggera. Quindi…

Ho inserito i sintomi. Stanchezza. Sonnolenza. Spossatezza.
Ecco, lo sapevo.

Malattie trovate: 48.
Sono state trovate troppe malattie. Pertanto l’elenco di seguito riportato non è esaustivo.


Segue un elenco (ridotto) delle malattie, tra cui:
Acidosi metabolica (la scarto perché non ho il fiato mefitico)
Attacchi ischemici transitori (questo potrebbe spiegare anche le vertigini!)
Celiachia (ecco il perché di quei fastidiosi mal di pancia!)
Cirrosi (ehi, è solo qualche aperitivo tra amici!)
Cuore polmonare cronico (ecco perché mi fa male il petto quando salgo le scale velocemente)
Epatite acuta (oddio…)
Febbre tifoidea (tutta colpa di questi extracomunitari!)
Gastroenterite da salmonella
Gestosi del terzo mese di gravidanza (questo mi sentirei di escluderlo, dottore)
Infarto miocardico (addio, è stato bello conosc-ARGH)
Insufficienza cardiaca, renale cronica, renale acuta, respiratoria cronica, respiratoria acuta, surrenalica acuta
ecc. ecc. ecc.

Quindi, con questo quadro clinico, mi reco prima a fare testamento e, infine, dal medico.
Quindi, gli espongo i miei sintomi.
Lui mi guarda, e non apre bocca.

Io:
D: Stanchezza, eh?
Io: (annuisco)
D: E spossatezza, anche?
Io: Sì! Sì!
D: e…
Io: Sonnolenza, dottore!!!
D:
Io:

A questo punto si alza e mi si avvicina, serio. Mi piazza sulla schiena uno stetoscopio che, sicuramente, fino a cinque minuti prima era dentro a qualche frigobar, nascosto sotto la scrivania. Poi mi osserva gli occhi, me li fa ruotare, mi controlla l’iride, la cornea, tutto quanto.

D: Non mi hai parlato della cosa più importante.
Io:
D: E’ da molto che hai gli occhi rossi? Che i capillari—
Io: SI’! SI’!!!
D:
Io:
D: Smettila di giocare a Far Cry 2 fino alle 3 di notte.