martedì 12 maggio 2009

Profumo di fiori di tiglio / fa caldo ma qui si sta meglio

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

Ho pensato ai tigli che circondano la Pensione Manolita, a Rimini, dove passavo le vacanze estive con mia nonna. A quell’odore di nostalgia e di promesse non mantenute, a quella stamberga a conduzione familiare che mi sembrava una reggia, perché mia nonna non doveva preparare i pasti ma, per pochi giorni all’anno, dopo una vita trascorsa a servire gli altri (prima come domestica, da quando aveva dieci anni, prima della guerra; poi come moglie, per un marito che la amava, e come nuora, per una suocera che non la sopportava; poi come commessa in una pizzeria del centro; quindi come madre e infine come nonna), poteva sedersi a tavola e mangiare quello che un’altra persona aveva preparato (e poco importa se, invece, tutte le mattine rifaceva i letti e puliva la camera, perché sì, anche alla Pensione Manolita c’erano le cameriere, ma cazzo, godersi le ferie per intero proprio no!).

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

Ho pensato ai tigli di Rimini e a quelle vacanze con Davide e Andrea, due fratelli di Treviso, grandi promesse del calcio che ora, probabilmente, faranno i carrellisti in qualche azienda del nord-est; e io ero il più piccolo, e quando uscivo con loro mi sentivo figo perché erano più grandi di me; e noi tre, dicevo, passavamo tutto il tempo al bar della spiaggia, a spendere il 50% dei nostri soldi nel juke-box e le uniche canzoni che ascoltavamo erano Mia bocca, I love to love ed Electrica Salsa, ma soprattutto Nostalgia canaglia, che era orribile ma urlare a squarciagola CANAGLIA! a tempo di musica ci faceva sentire bene.
E ho pensato che l’altro 50% dei nostri soldi li spendevamo di sera in sala giochi e a volte si sperava che piovesse anche durante il giorno, così da poterci passare anche la mattina o il pomeriggio. E il tempo lo si passava a guardare quelli grandi che erano bravi a giocare ai giochi che ti piacevano e arrivavano sempre fino alla fine e con un gettone ci stavano anche delle mezz’ore buone. E qualcuno di questi grandi, ogni tanto, quando finiva la partita, prima di inserire il nuovo gettone, ti guardava, tu che eri più piccolo, con il tuo mucchiettino di gettoni nascosti nella mano, che agognavi di poter giocare a quel bellissimo platform che nella tua città non c’era, perché a Modena le sala giochi non c’erano e l’unica che c’era era frequentata da brutta gente, così ti dicevano i genitori e tu non ci credevi e ci andavi di nascosto, finché un tossico ha tirato fuori un coltello e ve l’ha puntato alla gola, a te e ad un tuo amico, e tu gli hai dato tutto quello che avevi, ben cinquemila lire, e invece il tuo amico gli ha dovuto dare anche la catenina d’oro e allora siete arrivati a casa e avete dovuto confessare di essere stati alla sala giochi, e sì, avevate ragione, mamma e papà, è un postaccio e non ci torno più. Insomma, al mare, invece, dove la sala giochi era un luogo anche per i ragazzini, ogni tanto c’era questo grande che ti guardava e ti chiedeva: “Vuoi giocare?”, e tu, con i tuoi gettoni in mano, sentivi la tua voce rispondere: “No no, stavo solo guardando…”. Perché, cazzo, quelli grandi si rispettavano.
E quando invece eri in sala giochi di mattina perché pioveva, e i grandi non c’erano perché erano ancora a letto, e il gioco era libero, e scambiavi tremila lire e ti piovevano in mano una dozzina di gettoni, almeno un paio d’ore di gioco, ecco, solo in quel momento ti mettevi a giocare. E, dopo cinque minuti, immancabilmente, entrava in sala gioco un grande, si appoggiava con una mano al cabinato dove stavi giocando tu, e tu continuavi a giocare, magari addirittura per un minuto intero, e poi capivi di aver tirato troppo la corda… e allora perdevi la partita, volontariamente. E i tuoi 11 gettoni erano lì, in pila, pronti per essere inseriti. Ma il grande ti chiedeva: “Giochi ancora?” e tu avresti voluto rispondere sì, cazzo, sì che gioco, ho ancora 11 gettoni e adesso tu aspetti come aspetto io quando ci sei tu a giocare, invece sentivi la tua voce rispondere: “No no, non ne ho più voglia…”. Perché, cazzo, quelli grandi si rispettavano.
E se anche avevi tutte le intenzioni di giocare un’altra partita, almeno una, cazzo! ho aspettato tanto, una la gioco, cascasse il mondo ma un’altra partita me la faccio, ecco, anche se avevi quest’intenzione, arrivava quello grande che diceva: “Adesso gioco io.” E la sua affermazione la capivi al volo. Adesso. Gioco. Io. Punto. Sì, si sentiva benissimo anche il punto in fondo alla frase, perché quella non era una richiesta, ma non era nemmeno un ordine: era una constatazione. Ma poi, cavolo, non ci sarebbe nemmeno stato bisogno del punto, in fondo alla frase, perché non ti saresti mai permesso di dire “no, ne faccio ancora un’altra”, perché, cazzo, quelli grandi si rispettavano.

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

cavolo, questo discorso della sala giochi mi ha fatto venire in mente che quell’anno ero biondo! Biondo?!? Beh, una via di mezzo tra l’arancione e il biondo, in realtà. Regalo della varicella che avevo avuto il mese prima, in una forma molto violenta, e poiché le papule mi erano venute anche in testa, a centinaia, e poiché le papule divennero vescicole, e le vescicole pustole, e le pustole infine si trasformarono in croste, e avevo un prurito infernale e non potevo grattarmi, il medico consigliò a mia nonna (sì, perché le malattie infettive le passavo a casa di mia nonna, perché mia madre non ne aveva mai avuta una, di malattie infettive) di farmi gli impacchi con acqua e amuchina, per ammorbidire le croste ed alleviare il prurito. E poiché mia nonna mi vuole bene, passava tutto il giorno e tutta la notte a farmi gli impacchi con acqua e amuchina e già che c’era ci aveva messo anche un po’ di acqua ossigenata e insomma, il risultato è che, dopo due settimane di impacchi, avevo una chioma degna di Jurgen Klinsmann ai tempi d’oro, la pantegana bionda di antica memoria.
Ah già, qual è il nesso con la sala giochi? ricordo che stavo guardando giocare un grande e, ad un certo punto, questo mi guardò e mi disse qualcosa. In tedesco. Io feci finta di niente, ma questo di nuovo, ricominciò a parlarmi in tedesco. Non capivo un cazzo di quello che diceva. Sorrisi ed annuii. Lui mi guardò, perplesso. Mi chiese qualcosa. Io sorrisi ancora. Poi mi domandò: “Deutsch?”. Sorrisi. Ritentò: “Tetesco?”. Allora capii. Arrossii e risposi: “No, italiano.” E lui: “Italiano piondo? mah…” A quel punto, mi prese per una spalla, mi attirò vicino a sé, io chiusi gli occhi, in attesa del suo pugno, invece mi mise davanti al videogame, mi lasciò la sua partita e se ne andò.

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

… a te, Brigitte. A quanto eri bella. Ai tuoi occhi azzurri, ai tuoi capelli biondi, con quel taglio così francese, su quel volto così francese, con quel naso così francese e quelle labbra carnose così francesi, e quanto cavolo eri francese, che non capivo una mazza di quello che dicevi, ma ero contento, perché tu eri più grande di me, avevi quasi 16 anni, questo l’avevo capito, ma passavamo le giornate in spiaggia insieme e anche la sera uscivamo insieme, perché tu non conoscevi nessuno e non parlavi l’italiano e allora uscivi con noi, e mi scompigliavi i capelli biondi e sorridevi e io ero innamoratissimo. E pensai che, così come la lingua ci separava, la musica ci avrebbe uniti: io ti insegnai Una canzone per te, tu mi insegnasti Alouette ed io pensai che era la più bella canzone d’amore che avessi mai sentito. E invece era una cazzo di stupidissima canzone per bambini. Ma tu eri bellissima e io ero innamoratissimo e stavamo sempre insieme, e io ero certo che avrei imparato il francese, e poi ci saremmo ritrovati l’estate dopo, e tu ti saresti innamorata di me, e lunedì sera andasti a letto con Andrea. Cazzo. In un solo istante, avevi distrutto il mio amore per te e la mia amicizia con Andrea. Ma, per fortuna, il giorno seguente Andrea e Davide tornarono a Treviso perché avevano un provino nella Primavera di una qualche squadra di Serie A. (Davide lo presero, Andrea no. Ahahah. Così impari.)

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

… ancora a te, Brigitte. A quanto eri bella. E che, quando Andrea ripartì, tutto fu di nuovo come prima. E arrivò mercoledì, e tu mi passavi una mano tra i capelli biondi e io ero sempre più innamorato di te. E arrivò giovedì, e tu mi passavi una mano tra i capelli e io ero sempre più innamorato di te. E arrivò venerdì, e arrivò anche Remo, con la sua bella moto rossa, e quando arrivò sabato trombaste sulla spiaggia.

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

… a te, Brigitte. E a quanto eri zoccola.

Questa sera, in moto, sotto la pioggia, mi sono inebriato del profumo dei tigli in fiore. E ho pensato…

… ma perché cazzo non uso l’automobile, quando piove?

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