venerdì 8 maggio 2009

27

Post serio.

Sono nato e cresciuto nella terra dei motori per antonomasia.
Alcuni dei ricordi più vivi di quando ero bambino sono le gare di Formula 1 cui assistevo, in montagna, con mio nonno.
In religioso silenzio, perché la gara era un rito, quando scattava il semaforo verde iniziava una funzione simil-religiosa cui bisognava assistere trattenendo il fiato. Certo, mio nonno iniziava a bestemmiare come un satanista quando un'automobile rossa si fermava ai margini della pista con il motore in fumo, o quando uno dei suoi piloti terminava anzitempo la corsa contro le barriere. Ma, fin da allora, avevo capito che quella macchina rossa, per noi modenesi, non rappresentava solo un evento sportivo.
Era un simbolo.
Dimostrava come eravamo riusciti a creare dal nulla, in una terra devastata dalla guerra, in una terra di contadini ed allevatori, un "qualcosa" di inimitabile che tutto il mondo ci invidiava.
Grazie a quell'Enzo Ferrari che così bene rappresentava quello che sono i modenesi: gente riservata ma allo stesso tempo molto aperta, entusiasta, genuina, che non si piega a compromessi, orgogliosa, testarda e a volte pure presuntuosa (se vogliamo chiamare presunzione la sicurezza nei propri mezzi, la fiducia nelle proprie capacità).
Ecco, guardando in religioso silenzio quelle automobili che sfrecciavano rumorosamente sulle piste di tutto il mondo, a volte vincendo ma molto più spesso perdendo, intuivo quel senso di appartenenza e di fratellanza che la Ferrari suscitava nelle persone che mi vivevano intorno.

Un giorno, ricordo, mio nonno mi portò a Maranello, dove costruiscono le Ferrari. Parcheggiò l'auto ai bordi della strada, fece pochi passi e mi prese sulle spalle. Intorno a me c'era un sacco di gente, poi sentii un suono furioso che andava aumentando velocemente. "Eccolo, eccolo!" gridò uno di fianco a me. Mio nonno mi fece segno con l'indice, seguii la direzione del suo dito e vidi sfrecciare davanti a me una di quelle vetture che avevo visto solo in televisione. Rossa, con il numero 27.
E poi passò, ripassò, passò ancora, e tutte le volte che passava davanti a noi, tutti urlavano, saltavano, agitavano le mani.
Finché quella macchina passò, per un'ultima volta, a velocità ridotta, e quel ragazzo con il casco ricambiava il saluto, agitando la mano.

Da quel giorno, seguii le corse con più attenzione. Non capivo nulla di automobili, ma capivo che quel ragazzo, che era in grado di creare tutto quell'amore nelle persone che esultavano ad ogni suo passaggio, che soffrivano con lui, perdevano con lui, vincevano con lui, doveva essere un ragazzo speciale. E la gente lo amava, come non aveva mai amato nessuno prima e come non amò mai nessuno dopo.
Lo vidi compiere imprese che, ancora oggi, sono ritenute straordinarie. Lo vidi correre con un alettone davanti alla faccia e poi correre senza alettone. Lo vidi correre con una gomma a terra, poi senza gomma, infine senza cerchione. Lo vidi correre con una scia di vetture che lo volevano superare, ma non ce la fecero, e quella volta lo vidi vincere, e lui era felicissimo, e mio nonno era felicissimo, ed io ero felicissimo. Lo vidi sbattere, molte volte, troppe volte, e lo vidi uscire sempre illeso dall'abitacolo. Lo vidi decollare, proprio come un angelo, atterrare tra la folla e seminare morte, ma non poteva essere colpa sua, ne ero sicuro, perché tutti continuavano ad amarlo.

E poi, un sabato, stavo guardando la televisione, non ricordo cosa, quando apparve un messaggio in sovrimpressione, che diceva che avevi avuto un incidente, ed eri stato portato via in elicottero, ed eri in coma. E, poco dopo, eri morto.
Era un sabato di maggio, sei decollato, proprio come un angelo, ma quel giorno la morte ti ha reclamato.
Quel giorno ho pianto.
Ero solo un bambino, ma ti ho amato tanto, Gilles.



27 anni fa, nella clinica universitaria di Lovanio, dopo un terribile incidente durante le prove del Gran Premio di Zolder, si spegneva Gilles Villeneuve, il più veloce, il più amato pilota di tutti i tempi.

Il mio passato è pieno di dolore e di tristi ricordi: mio padre, mia madre, mio fratello e mio figlio. Ora quando mi guardo indietro vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve. Io gli volevo bene. (Enzo Ferrari)

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