giovedì 3 dicembre 2009

Il meccanico di biciclette

Ho già affrontato l'argomento "Meccanici", parecchio tempo fa. Poiché all'epoca non contemplavo alcun mezzo di locomozione che non utilizzasse un motore a combustione interna, non avevo considerato una categoria "di nicchia": il meccanico da bicicletta, quella persona cui piace sporcarsi di grasso e morcia che ha fatto del motto "vorrei mettere le mani in un motore ma non ci capisco nulla" il suo stile di vita.

L'officina del meccanico da bicicletta è, solitamente, un garage (a volte due) riadattato all'uso. Non so voi, ma nel mio garage, quando ci sono tre biciclette (una è mia, una della padrona di casa, l'altra non si sa di chi sia), già non si gira; nell'officina del meccanico di biciclette ce ne sono almeno una quarantina, molte appese al soffitto con ganci da macellaio, una di fianco all'altra, come metallici quarti di bue. Non solo: all'esterno dell'officina sono sempre parcheggiate un'altra ventina di biciclette, che alla sera, non si sa come, vengono immagazzinate nel locale già pieno.
La cosa curiosa è che la quasi totalità di quelle biciclette sono lì da sempre, rimarranno lì per sempre, nessuno passerà mai a ritirarle.
L'officina del meccanico è il cimitero delle biciclette.

Il meccanico da bicicletta ha una caratteristica che lo diversifica da tutti gli altri meccanici: l'orario di apertura.
Il meccanico da bicicletta apre "circa" all'ora indicata. Il che può essere sintetizzato con: quando cazzo gli pare.

Un altro aspetto che distingue il meccanico da bicicletta dagli altri meccanici è la fauna che bazzica la sua officina.
Vi si può trovare sempre, anche in assenza del meccanico, il fratello/amico/conoscente, quello che "non fa un chilo".

Il mio meccanico da bicicletta, ovviamente, non si differenzia dai suoi colleghi.
Spingo il velocipede fino alla sua officina: chiusa. Leggo la scritta sulla serranda: Apertura: Mattino ore 10 (circa), Pomeriggio ore 16 (circa). Guardo l'orologio: sono le 14:50.
Alle 16 esco dall'ufficio, spingo il velocipede fino alla sua officina: chiusa. Vorrei chiedere informazioni alla copisteria di fronte, ma un cartello vergato a caratteri cubitali con scrittura nervosa "A che ora apre il meccanico? Non lo so! Non chiedetemelo! Evitate battute." mi fa intendere sia meglio lasciar perdere.
Alle 17 torno dal meccanico, l'officina è aperta (me ne accorgo da lontano, vedendo accatastate contro il muro una ventina di biciclette che occupano abusivamente il marciapiede).
Guardo dentro la vetrina: in mezzo ad una cinquantina di biciclette il meccanico è intento a cambiare una camera d'aria. Seduto di fianco alla porta, col cappello in testa e un abito d'altri tempi, eccolo: l'amico che non fa un chilo.
Mi vede, mi fa segno di entrare (l'amico, il meccanico non mi degna di uno sguardo).
Spingo la porta, ma due biciclette mi impediscono il passaggio.
L'amico le sposta, entro, chiama il meccanico, mi chiede il problema, glielo faccio vedere, muovendo i pedali.
L'amico si mette le mani nei capelli: "Udìo, mo'c bròt lavòr!" (oddio, ma che brutto lavoro!)
Mi spiega che è una cosa seria (l'amico, il meccanico mi deve ancora rivolgere la parola), che non è un gioco da ragazzi e che - sì, lui ne ha viste di biciclette con questi problemi - è anche una cosa costosa.
È una bicicletta, cristo - penso - cosa mai può esserci di costoso in una bicicletta?!
Il meccanico solleva lo sguardo e mi dice:
"Domani a quest'ora".

Il giorno dopo mi reco, mezz'ora dopo l'ora stabilita, dal meccanico. La mia bicicletta è sotto i ferri: rovesciata su due supporti, vedo il meccanico che ci armeggia. L'amico osserva interessato.
"Al pol turnèr tra n'uràtta?" (può ritornare tra un'ora?), mi chiede (l'amico, il meccanico non mi rivolge la parola).
Torno dopo un'ora e mezzo, la mia bicicletta è pronta, il meccanico è intento a cambiare l'ennesima camera d'aria e l'amico è seduto al solito posto, di fianco alla porta, con il solito vestito d'altri tempi.
Mi spiega (l'amico, il meccanico mi deve ancora rivolgere la parola) che è stato un lavoraccio, che hanno dovuto cambiare un pezzo all'interno di un fantomatico blocco pedale, che hanno gonfiato le ruote, serrato i bulloni, montato un parafanghi sulla ruota anteriore (azzurro, la bicicletta è rossa) e che gli spiace se il conto è risultato un po' salato.
A questo punto il meccanico si avvicina con la ricevuta e mi dice: "Sono venti euro".

Mentre mi allontano, l'amico del meccanico esce dall'officina per salutarmi.
Con molto rispetto, perché è un uomo d'altri tempi.
E sa bene che il saluto è importante, che bisogna distinguere, che non si può salutare un uomo e una donna allo stesso modo, che se ad una donna - per rispetto - bisogna dare del lei, ad un uomo - per rispetto - bisogna dare del lui.
E mi allontano tenendomi stretto il mio rispettoso "Arrivederlo!"

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