martedì 15 settembre 2009

Pollice verde

Io sto al pollice verde come Malgioglio sta all’eterosessualità.

(Lo ammetto, l’esempio non è proprio uno dei più felici. Anche perché, in questo momento, non riesco a cancellare dalla mente un assillante dubbio: cosa se ne farebbe Malgioglio del mio pollice verde?)

Insomma, sono incapace di mantenere con successo alcun tipo di rapporto con le piante. (Anche con l’altro sesso, ma questo è un argomento diverso).
Ogni autunno compro un bonsai ai banchetti dell’Anlaids - bonsai che indicherei in dichiarazione dei redditi, se solo pagassi le tasse - e l’autunno successivo ne compro un altro, in sostituzione dell’alberello morto durante la primavera/estate.
Ogni anno compro una pianticella, per la festa della mamma, e la pianticella non arriva nemmeno a vedere ognissanti.
Forse è anche un po’ colpa mia. Non faccio nulla di quello che si dovrebbe fare per far star bene le piante:
  • Non parlo loro – fatico a relazionarmi con le persone, posso mettermi a parlare ad una pianta? Però sono bravissimo ad ascoltarle. Le piante, non le persone.
  • Non le innaffio con la dovuta cura – me ne dimentico. Che ci posso fare? Non è colpa mia! È colpa loro! Anche un neonato, per quanto possa essere limitato nelle sue capacità di relazionarsi con gli altri, è capace di farti capire quando ha fame o sete: le piante no! Quindi mi dimentico di innaffiarle. (Breve digressione. Da un po’ di tempo, voglio prendere un cane. Unicamente perché, si sa, il cane è come un bambino piccolo: attira la gnocca. Comunque, dicevo: ho voglia di prendere un cane e, di solito, per farmi cambiare idea mi dicono: “Un cane? Ma se non sei nemmeno capace di tenere in vita una Spathiphyllum!”. Che discorso è? Un cane non è una pianta, un cane è un animale domestico e, in quanto tale, se ha fame o sete, abbaia, guaisce, ulula, uggiola, mordicchia, rompe il cazzo, insomma in un modo o nell’altro te lo fa capire! Ecco, se proprio vogliamo paragonare le piante ad un animale domestico, paragoniamolo ai pesci: pure loro mi sono morti di fame, ma è colpa loro: non mi hanno mai ricordato che dovevo dar loro da mangiare
  • Non le concimo.
  • Non le tengo al sole, all’ombra, alla luce indiretta, alla luce riflessa, alla luce soffusa.
Ma, se non faccio tutte queste cose, è per un motivo ben preciso: perché so che comunque, per quanto io possa impegnarmi, queste stramaledette piante moriranno comunque: si faranno assalire da voraci insetti, da funghi, da batteri, si suicideranno interrompendo la fotosintesi clorofilliana, si rifiuteranno di assorbire l’acqua oppure ne assorbiranno troppa fino a marcire, insomma, queste stronze lo fanno apposta.

Comunque, io e le piante proprio non ci intendiamo.
Volete vedere una devastazione paragonabile a quella degli incendi che ogni anno devastano ettari di macchia mediterranea? (incendi appiccati da persone senza pollice verde che, giunti all’esasperazione, sfoga la propria rabbia repressa gettando fiammiferi tra le foglie secche?)
Ecco, venite a vedere il mio giardino. Nonostante venga ogni anno vangato, zappato, concimato, seminato, innaffiato (non da me: io non farei mai tanta fatica per un vegetale), nonostante a maggio sia un tappeto di soffice erbetta cosparso di simpaticissime margheritine, nonostante tutto questo, agli inizi di giugno l’erba si brucerà, a metà giugno profonde voragini si apriranno nella terra riarsa, a luglio il manto erboso sarà solo un pallido ricordo, come quello di San Siro.
Vogliamo parlare dell’orticello, dove non sono MAI riuscito a far crescere nulla? (o dove non sarei mai riuscito, se solo ci avessi provato)

Ecco, posso dirlo: non mi piace.
Seminare, piantare, zappare, annaffiare, concimare, potare: tutto questo non mi piace per niente.
E allora, mi chiedo, perché?
Perché mi sono intrippato con due stupidissimi giochi su Facebook, Farmville e Country Story, che fanno di me un contadino provetto?
Voglio dire: non sono gioco divertenti, sono giochi irritanti. Seminare il riso, il frumento, il granoturco, vederlo crescere, raccoglierlo, non solo non mi procura alcun divertimento, al contrario: mi irrita.
Allora perché continuo? Perché so che tra sei ore devo raccogliere i carciofi e piantare le zucche?

Poi ho capito.
Ho capito che c’è sotto qualcosa di più grande.
Ho capito che Farmville è il futuro della comunicazione, o meglio, è la comunicazione del futuro.
Ancor più: Farmville è la comunicazione con il futuro!
E così, come stanno facendo loro con noi da parecchie decine d’anni, anche io mi sono messo a lasciare messaggi per gli alieni con i crop circles.

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